[VADEMECUM] L’invenzione del racconto

- Dalla sua nascita all’identikit dell’autore perfetto -

di Carlotta Colarieti, 21 Marzo 2017

Nathaniel Hawthorne è uno scrittore statunitense morto nel 1864, figlio di un capitano di marina e discendente di uno dei giudici che presero parte al processo alle streghe di Salem. Negli Stati Uniti – lì dove sanno monetizzare e la sua casa è diventata un museo, e sempre lì dove, modesti, hanno deciso di dedicargli un omonimo cratere sulla superficie del pianeta Mercurio – è considerato uno dei padri fondatori della letteratura americana.
Qui da noi invece Hawthorne è noto a molti per essere l’autore di La lettera scarlatta, un romanzo che con molte probabilità è a sua volta noto proprio a tutti – ammettiamolo – forse più per una Demi Moore anni ’90, nel film ispirato al romanzo, che per i meriti innegabili del suo autore. Che si sia trattato di infausto destino, o della solo apparente impronunciabilità del suo nome, Hawthorne ha avuto minore fortuna tra il grande pubblico italiano rispetto ai suoi contemporanei Mark Twain, Herman Melville ed Edgar Allan Poe. Nonostante tutto però, ancora oggi quella di Nathaniel Hawthorne rimane una figura insopprimibile, e non solo nella storia letteraria degli Stati Uniti ma anche in quella della forma racconto in chiave moderna, e nella nascita delle short stories così come le conosciamo e le leggiamo noi oggi.
È il 1842 quando dalle pagine del Graham’s Magazine di Philadelphia, Poe recensisce il libro di racconti di Hawthorne, Racconti narrati due volte, definendoli «racconti in prosa», e sottolineando che la loro unicità sta nel fatto – innovativo – che possano essere letti in poco tempo e terminati senza dover necessariamente interrompere la lettura. Le nuove caratteristiche formali dei racconti di Hawthorne cambiano soprattutto la prospettiva del lettore il quale, per la prima volta, si trova davanti a qualcosa di breve che non è poesia e non è nemmeno esercizio di stile, ma è un respiro nuovo in grado di declinare l’intensità del romanzo in un’esperienza di lettura ininterrotta e in un microcosmo narrativo compiuto.
Si tratta di un’intuizione semplice eppure degna di nota, non fosse altro che per la capacità di organizzare gli elementi di un modello che fino a quel momento erano appartenuti al romanzo, sviluppandoli in una manciata di pagine.
Così nasce convenzionalmente il racconto moderno, centosettantacinque anni fa.
Da allora non si può dire che sia cambiato molto, ci si divide ancora tra chi lo considera una composizione minore e chi invece proprio nella sua brevità intravede la formula del successo longevo, a livello formale, oggi come ai tempi di Poe, il racconto continua a distinguersi dal romanzo per pochi (ma fondamentali) elementi; gli autori che si confrontano con questa forma narrativa, continuano a fare i conti con le strutture del romanzo – costruzione del personaggio, trama, punto di vista ecc. – il più delle volte in uno spazio non superiore alle cinquanta pagine.
Se paragonati ad altri grandi cambi di prospettiva che hanno interessato il modo di raccontare, centosettantacinque anni sono effettivamente pochi, ma comunque un periodo sufficiente per trarre degli insegnamenti. Cosa abbiamo imparato da Hawthorne in poi? Esistono delle regole di scrittura legate a questa forma? Cosa dovrebbe – o non dovrebbe – fare un aspirante autore di short stories? Dopo poco più di un secolo e mezzo dalla sua “nascita” e nel suo grande momento di rinascita qui in Italia, ecco alcune riflessioni in merito alle caratteristiche necessarie per scrivere buoni racconti e altrettante storie da cui lasciarsi ispirare.
Dedicate a tutti coloro che i racconti li scrivono e a quelli che avrebbero sempre voluto farlo.

 

1. Equilibrismo
Scrivere un racconto richiede disciplina e basta davvero poco per rovinare l’equilibro di una storia precipitando nel baratro del superfluo. Ogni riga del testo dovrebbe essere attentamente soppesata, finalizzata alla costruzione del personaggio o funzionale al procedere della narrazione. Qualora non adempisse a uno di questi compiti, l’autore non dovrebbe esitare a sacrificarla.
Vedi: Una giornata perfetta per i pesci bananaNove racconti, di J.D. Salinger (Einaudi, 2014).

 

2. Tempismo
Alcuni scrittori di racconti optano per inserire nelle loro trame grandi salti temporali, ma il tempo del racconto generalmente riguarda lassi cronologici molto limitati. Questo avviene semplicemente perché con la forma breve è più difficile coprire molti anni di vita di un personaggio, rendere adeguatamente e in poche pagine lo scorrere delle stagioni o cambiamenti decennali, e perché cimentarsi nel tempo della storia con la narrazione di un mese sarebbe già una piccola sfida. Focalizzarsi su uno spazio temporale ridotto, soprattutto quando si è agli inizi, consente di concedere maggiore spazio ai dettagli, per i retroscena invece rimane sempre in vigore il principio dell’iceberg.
Vedi: Il braccioIl paradiso degli animali, di David James Poissant (NN Editore, 2016).

 

3. Monoteismo
In un racconto non c’è praticamente mai modo di approfondire molteplici punti di vista. Al contrario, quasi sempre c’è un personaggio che nell’economia del racconto è caratterizzato con maggiore attenzione. Gli altri, quelli che gli ruotano attorno, compaiono come figure minori, bidimensionali o immediatamente riconducibili al ruolo o alla funzione che svolgono. Nel racconto, privilegiare un punto di vista e fare in modo che sia quello a guidare chi legge è una semplificazione in grado di favorire l’immedesimazione del lettore.
Vedi: L’Ojo Silva, Puttane assassine, di Roberto Bolaño (Adelphi, 2015)

 

4. Strutturalismo
Sebbene la forma racconto difficilmente consenta di riproporre al suo interno molti degli elementi tipici della struttura del romanzo tradizionale (esposizione del conflitto, azione, culmine della storia ed epilogo), alcuni autori hanno dimostrato che si tratta di un’operazione possibile, anche con risultati felici. Purché, come loro, riusciate a far sì che il vostro racconto non risulti affollato o confuso, la sinossi di un romanzo o il canovaccio del racconto che avreste voluto scrivere, senza però riuscirci.
Vedi: Lo scomparso, I difetti fondamentali, di Luca Ricci (Rizzoli, 2017).

 

5. Disubbidienza
Il racconto si presta bene alla sperimentazione proprio per la sua brevità: gli esperimenti narrativi non possono di certo essere sostenuti per duecento pagine né, tantomeno, si può essere in grado di lavorare allo stesso livello per anni. Per questo se una regola non vi consente di costruire al meglio la vostra storia, soprattutto quando avete a che fare con un racconto, infrangetela pure con decisione. Parola di Nathaniel Hawthorne.
Vedi: Tutti i racconti, di Nathaniel Hawthorne (Donzelli Editore, 2006).

 

Illustrazione di Ana Yael.

 

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